martedì 14 febbraio 2017

Gabbani revolution?

Ieri sono accadute due cose inquietanti.
Il programma più importante della rete televisiva più importante del primo gruppo televisivo privato della nazione non riusciva a non parlare e a non far ascoltare una canzone che richiamava un programma appena andato in onda per cinque sere sul primo canale della tv di stato.
Una esiziale direzione del principale partito del paese si è aperta con l'inno nazionale preceduto sempre dal brano che ha a sorpresa vinto il sessantasettesimo festival di Sanremo:2007 "Occidentali's karma" cantato da Francesco Gabbani.
E i dati di itunes, la pagina facebook dell'Eurovisione, il panettiere sotto casa che non ti sveglia più con "curre curre quagliò", tutto ci induce a pensare che sul palco dell'Ariston sia andata in scena una nuova rottura semiologica del normale ascoltare e sentire.
Il brano è rivoluzionario e allo stesso tempo raccoglie il testimone di una serie di progenitori che hanno cercato di turbare l'animo dello stolido pubblico sanremese.
E' il 1986 quando uno dei più illuminati fantasisti della televisione italiana, Renzo Arbore, si presenta tra i fiori liguri con una canzone gonfia di sottotesti licenziosi e spinti, "Il clarinetto", e solo l'esplosione di Eros Ramazzotti gli impedisce di conquistare il favore dei giocatori del Totip che allora componevano la giuria.
Elio e le storie tese, uno dei gruppi che con più efficacia ha percorso le strade dell'innovazione lessicale e musicale non disgiunta dall'ironia, realizzarono il brano che ottenne più voti nel 1996 ("La terra dei cachi", cantata con Raoul Casadei in una delle serate) ma Pippo Baudo, presentatore e direttore artistico, cambiò il verdetto. Il gruppo milanese spargerà ancora il verbo nelle edizione del 2013 con "La canzone mononota" e "dannati forever" e nel 2016 con "Vincere l'odio".
Intanto Daniele Silvestri era stato il vincitore morale del festival del 2007 con "La paranza", che con un sound latinoamericaneggiante coniugava richiami all'amore e avvenimenti di cronaca come l'arresto di Bernanrdo Provenzano o il delitto di Cogne.
Il brano di Gabbani è il figlio di tutte queste audaci imprese. Basta rileggerne il testo:
Essere o dover essere
Il dubbio amletico
Contemporaneo come l’uomo del neolitico
Nella tua gabbia 2×3 mettiti comodo
Intellettuali nei caffè
Internettologi
Soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi
L’intelligenza è démodé
Risposte facili
Dilemmi inutili.
AAA cercasi (cerca sì)
Storie dal gran finale
Sperasi (spera sì)
Comunque vada panta rei
And singing in the rain
Lezioni di Nirvana
C’è il Buddha in fila indiana
Per tutti un’ora d’aria, di gloria
La folla grida un mantra
L’evoluzione inciampa
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma
Occidentali’s Karma
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma
Piovono gocce di Chanel
Su corpi asettici
Mettiti in salvo dall’odore dei tuoi simili
Tutti tuttologi col web
Coca dei popoli
Oppio dei poveri.
AAA cercasi (cerca sì)
Umanità virtuale
Sex appeal (sex appeal)
Comunque vada panta rei
And singing in the rain.
Lezioni di Nirvana
C’è il Buddha in fila indiana
Per tutti un’ora d’aria, di gloria
La folla grida un mantra
L’evoluzione inciampa
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma.
Occidentali’s Karma
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma.
Quando la vita si distrae cadono gli uomini.
Occidentali’s Karma
Occidentali’s Karma
La scimmia si rialza.
Namasté Alé
Lezioni di Nirvana
C’è il Buddha in fila indiana
Per tutti un’ora d’aria, di gloria.
La folla grida un mantra
L’evoluzione inciampa
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma.
Occidentali’s Karma
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma
Versi brevi, brevissimi, che prediligono lemmi recenti, un numero di citazioni spaventoso, che spazia da "2001" di Kubrick a "La scimmia nuda" di Desmond Morris a "La religione oppio dei popoli" di Karl Marx. Una critica puntuta all'uomo immerso nei social e a una certa religiosità orientaleggiante che sembra una facile via d'uscita. Eppure se ne possono estrarre, in questa serie quasi infinita di pitstop lessicali, tre righe che sarebbero piaciute a Montale e Quasimodo:
Mettiti in salvo dall'odore dei tuoi simili.
Per tutti un ora d'aria. Di gloria.
Quando la vita si distrae cadono gli uomini.
E questo immerso in un ritmo indiavolato, indianeggiante che frantuma ai primi ascolti l'attenzione sulla parola. E l'uso dello scimmione che svia dal resto, che richiama Arbore ed Elio per l'uso altro del palco. Sembra parlare d'altro, sembra dire che il karma dell'occidente è il suo tramonto, ma prima di lanciarsi in una ripetizione che porta via la nostra soglia dell'attenzione nel ballo sulle strade di Nuova Delhi ci lascia con due parole, namastè e alè che contengono più speranza del previsto.
L'assonanza tra uno dei termini più densi di significato della tradizione indiana e l'appello popolare dei gruppi informali italiani fa guadagnare a questa canzone il passaporto per essere apprezzata ad ogni livello e per essere cantata sui tetti e sugli stadi e per cambiare il nostro oggi come fece, agli inizi del miracolo economico, un altro brano spacca tempo: "Nel blu dipinto di blu" di Domenico Modugno.

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