domenica 30 giugno 2013

Il cinefilo pendolare (2) - Una domenica tra gabbie, supereroi e gatti cecoslovacchi

Sala Scorsese, "Tutto finisce all'alba" (Max Ophuls, 1940, 82')
Si parte con la inquietante rassegna che raccoglie film antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale che intercettano un mal di vivere che anticipa l'arrivo della Grande Catastrofe.
Insomma, in tempi in cui ci si sorprende perché Nanni Moretti ha anticipato le dimissioni di un pontefice e la condanna a sette anni di un capo politico, mostrare il ruolo precognitivo del cinema.
Essendo Ophuls uno dei massimi registi della storia il film è un fottuto capolavoro. Narra le vicende di Evelyne, una soubrette in via di autodistruzione che si esibisce in un locale le cui maestranze necessiterebbero di una iniezione di antitetanica.
Donna di notte che custodisce un figlio decenne nella topaia in cui abita, cresciuto con amore ma con una certa leggerezza. In una scena mirabile il pupo si alza ignudo dalla vasca in cui ha appena fatto il bagno per essere infilato a letto senza essere stato toccato (Ophuls compie qui uno dei piccoli errori della sua carriera coi capelli dell'infante che si asciugano da soli dopo un cambio di inquadratura).
La squallida esistenza della protagonista è sconvolta dall'apparizione per strada di un'amante conosciuto anni prima in una località montana canadese dove ovviamente non si era presentata come una prostituta momentaneamente libera dal suo protettore.
Invece che liberarsene con poche parole rinfocola l'antica passione e finge di abitare in un palazzo dove l'appartamento più piccolo ha l'ingresso grande come una piazza d'armi.
Ci si trasferisce col bimbo novenne informando nella stamberga di una improbabile vacanza in campagna, rompe col localaccio tranne che con il vecchio chansonnierbche le faceva da amico del cuore e prova a riallacciare l'antico legame. Ma è una fallace illusione: gli strozzini che gli hanno dato il denaro per simulare chiedono la restituzione; non resta che affidare il piccolo all'antico amore e perdersi nella Senna.
Ophuls è magistrale anticipando soluzioni di regia, come la stessa scena vista da più punti di vista, che molti pensano nata con Welles. Per i moderni resta comunque un'opera segnata dal tempo anche se il fascino premonitore di film americani successivi ne valorizza la visione.

Sala Scorsese, "Moglie, sii come una rosa" (Mikio Naruse, 1935, 74')
Prende il via con questa proiezione la seconda annata della rassegna "Il Giappone parla!", quello che rimane oggi delle opere del difficile passaggio della cinematografia nipponica dal muto al sonoro. L'impresa è condotta da due aiutanti e giovwni studiosi, Alexander Jacoby e Johan Nordström, che hanno brevemente introdotto la rassegna illustrando i metodi con cui si sono procurati le pellicole.
L'opera che segue è il dramma di una figlia che, in procinto di sposarsi, deve cercare di ricomporre il legame tra i propri genitori dopo che da anni il padre ha lasciato Tokyo per farsi un'altra famiglia in campagna.

I ruoli femminili sono straordinariamente moderni e fanno aggio su qualche ingenuità di sceneggiatura (come si sono potuti sposare una scrittrice di haiku e un cercatore d'oro?) e la nitidezza della trama anticipa la levità di capolavori del dopoguerra. Intrigante il rapporto tra pari tra la protagonista e il futuro marito e il ruolo di deus ex machina riluttante svolto dallo zio, incarnazione della piccola borghesia giapponese con i suoi strani tic. Da segnalare anche l'efficace contrasto descritto tra la vita di campagna, dove il padre (anche se non ha mai trovato l'oro) vive con la nuova compagna e due figli e la vita di città rappresentata dal kabuki (con l'illuminazione improvvisa su da dove venga la chioma di Megaloman.

Sala Scorsese, conferenza "I muti di Hitch", Charles Barr, storico del cinema
In occasione del restauro dei film muti di Alfred Hitchcock da parte della BPI, che si vedranno durante il festival, causa assenza del rappresentante BPI, ma arriverà per il seminario, spazio a Charles Barr, una leggenda della storiografia del cinema.
Leggenda mantenuta in quanto in un'ora il timidissimo luminare (indizio: vuole parlare in piedi), coadiuvato da un mini portatile collegato allo schermo abilissimamente utilizzato, ci spiega come il genio di Alfred sia da tagliare con un gruppo di maestri e collaboratori che solo il restauro e la rilettura di questi film . 33 anni fa a Roma in un convegno post mortem non erano molto interessati.

Cinema Arlecchino, "Un giorno, un gatto" (Jasny Voytech, 1963, 102')
Se questo è il livello della rassegna sul cinema a colori cecoslovacco degli anni 60' siamo alla scoperta di qualcosa tipo la ruota per gli uomini primitivi.
In una cittadina che cerca di seguire il piano quinquennale un maestro e un custode della torre (ma sarebbe più esatto dire uno spirito della città) insegnano ai bambini sistemi che inducono il preside (ligio al dovere e appassionato di taxidermia, gloria del paesino) a tenere d'occhio in collaborazione con il bidello.
Subito dopo il racconto una favola si incarna per la strada: arriva un gruppo di circensi, guidati da un sosia del custode della torre, che fa uno strano spettacolo basato sui colori e su un gatto che, togliendosi gli occhiali, rivela l'animo e i difetti di ognuno: rosso amore, giallo tradimento, viola bugia. Ovviamente cercheranno di uccidere il gatto che si salverà grazie ai bambini che spariranno per difenderlo.
Pieno di trovate e con un'uso del colore e degli effetti visivi che mangia in testa ai film Disney coevi e con una freschezza incredibile per i tempi che sono una feroce critica per i regimi totalitari in primis quello cecoslovacco, se ne caldeggia la visione con ogni mezzo. Sarà dura rinunciare alla dose quotidiana di un cinema così per il maxi documentario su Jerry Lewis...

Cinema Arlecchino, "L'uomo invisibile" (James Whale, 1933, 71')
Splendido restauro, effettuato dalla Universal in occasione dei suoi 100 anni, di uno dei primi grandi film di sci-horror. Partendo da un racconto di H.G.Wells la parabola distruttiva di un'uomo che scopre una droga che gli permette di diventare invisibile ma lo porta sulla via della pazzia mentre cerca l'antidoto.
A distanza di 80 anni si apprezzano di più le trovate umoristiche (la locandiera o il vecchio poliziotto) che gli effetti speciali, eccezionali allora.

Cinema Jolly, "He comes up smiling" (Allan Dwan, 1918, 24', frammento) "A modern musketeer (Allan Dwan, 1917, 73')
Due muti per iniziare a ragionare su Dwan, di cui domani ci sarà l'attesa conferenza di Browlown. Nel primo un'impiegato di banca deve custodire il volatile del direttore ma dopo una serie di vicende alla Harry Lloyd entra nel mondo dei barboni filosofi e lo lascia andare. Problemi con alcuni barboni e l'occasione di abiti lasciati da un finanziere mentre fa un bagno a fiume, lo fanno entrare nel bel mondo dei ricchi. Il finanziere cerca di recuperare il proprio posto (ma malvestito non viene riconosciuto) e qui il film si interrompe.
Nell'altro Douglas Fairbanks interpreta prima D'Artagnan nella prima scena classica di tutti i film sui moschettieri (nella taverna solo contro tutti), poi all'inizio del secolo un ragazzo del Kansas tirato su a dosi da cavallo del romanzo di Dumas che vive una mirabolante avventura tra western e road movie per conquistare una ragazza e rimettere giustizia.
Entrambi gli eroi di Dwan sono praticamente supereroi anche se inconsapevoli come superpoteri aveva il gatto cecoslovacco.
La gabbia è l'altro protagonista trasversale della giornata, metafora scelta in tutti i film.

Partito da casa alle 7.11 rientrato alle 22.14.
Spese: 40 euro accredito e catalogo, 8,80 euro biglietto giornaliero, 10,69 euro pranzo.
Treni regionali scalcinati come previsto, quasi vuoti. Il treno di ritorno con 45 minuti di ritardo.

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